EDITORIALE – Calabria Terra Mia è lo “spot” che la Regione ha commissionato a Gabriele Muccino, per promuovere le bellezze della Calabria. Il noto regista si prende 6,09 minuti di vita degli spettatori per raccontare, tra l’altro in ordine sparso e ripetuto, 20 concetti nel binomio testo-immagini.
Mare, montagna, bergamotto (“L’oro della Calabria”), coppola, clementine, cedri, mare, mare, clementine, asini, coppola, Adelaide (nome di persona), soppressata col finocchietto, Penelope (nome di persona), arance, “alla salute” (unico riferimento al vino, passando davanti a un’osteria), mare, mare, sole, fichi, mare.
Ce ne sarebbe qualcuno di più, ma questi sono i più immediati, che possono saltare all’occhio di chi guarda, anche solo distrattamente, il video. Se fossi un vignaiolo calabrese, sarei incazzato come un cinghiale. Non con Muccino, bensì con Regione Calabria.
Quello dell’amministrazione reggina è un tentativo sbiadito di mecenatismo, che per certi versi offende alcuni territori calabresi d’eccellenza, dove le tradizioni stanno scomparendo nel nome del vile Dio denaro.
Penso a vignaioli come Santino Lucà (a sinistra, nella foto, con i colleghi Cataldo Calabretta e Nino Altomonte) che nella sua Bianco (RC) si trova circondato da intere spianate di bergamotto, che pian, piano stanno sostituendo la vigna, riprendendosi lo spazio di un tempo. Qualcun altro dipinge il bergamotto come il vero “Oro della Calabria”: a quale lobby giova questo accostamento?
Non è certo colpa di un arrapato Raoul Bova o di una stralunata Rocìo Munoz Morales se, nel cortometraggio di Muccino, presentato da poche ore alla Festa del Cinema di Roma, pare più d’essere in Sicilia che in Calabria. Mi viene allora il dubbio che il punto sia questo.
La Calabria dei governanti non è ancora pronta ad essere se stessa. Non ha ancora trovato la sua strada. Non è ancora capace di commissionare un video che la racconti nel profondo. E per questo ricorre alle similitudini, con le regioni che negli anni hanno saputo costruire un brand forte. La Sicilia, per l’appunto, ancor più della Puglia.
Manca il vino, è vero, nel corto “Calabria Terra mia” di Gabriele Muccino. Ma questa è un’interpretazione di nicchia: esattamente quello che non va fatto, specie al cospetto di uno spot che punta ad attirare, genericamente, turismo internazionale.
Il vero problema è che, in questo spot, la Calabria appare sbiadita. La brutta copia di qualcosa che, il turista, sa già bene di poter trovare altrove. Magari abbinata a un bel calice di Grillo, Nero d’Avola o Negroamaro. Ma una domanda, su tutte, mi risuona nella testa: quante “Penelope” e “Adelaide” conoscete, voi, in Calabria?
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Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.